IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza nella causa di primo grado,
 iscritta al n. 1765 del ruolo generale contenzioso  per  l'anno  1986
 promossa  dall'amministrazione  delle  finanze  dello Stato - ufficio
 I.V.A. - Grosseto, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentata
 e  difesa ex lege dell'avvocatura dello Stato - distretto di Firenze,
 per legge domiciliataria, e rappresentata altresi' dall'avv. Raffaele
 De  Luca  del  Foro  di  Grosseto per delega in data 20 gennaio 1988,
 attrice, contro il  fallimento  di  Cavasini  Dante  in  persona  del
 curatore  rag.  Alberto  Fanciulli,  convenuto-contumace,  avente  ad
 oggetto: dichiarazione tardiva di credito.
                         SVOLGIMENTO DEL FATTO
    Con  ricorso  depositato  in  cancelleria  il di' 11 ottobre 1986,
 l'amministrazione  delle  finanze  dello  Stato,  ufficio  I.V.A.  di
 Grosseto,   in   persona   del   direttore   pro-tempore,  dichiarava
 tardivamente un proprio credito di L. 4.000.000 per pena pecuniaria e
 ne  chiedeva  la  ammissione  al  passivo  del fallimento di Cavasini
 Dante, fallimento dichiarato con sentenza 9 gennaio  1986  di  questo
 tribunale,  in  forza  di  avviso di irrogazione di sanzione n. 7148,
 notificato al curatore il 17 luglio 1986 e non impugnato.
    Il  ricorso,  col  pedissequo  decreto del giudice delegato per la
 comparizione delle parti, veniva  notificato  al  curatore  che  alla
 prima  udienza  si  opponeva  all'ammissione  del credito ritenendolo
 sorto col provvedimento di irrogazione e percio' posteriormente  alla
 dichiarazione di fallimento.
    Con comparsa depositata il 30 gennaio 1988 l'amministrazione delle
 finanze, in  persona  del  Ministro  pro-tempore,  si  costituiva  in
 giudizio  ed  insisteva  per  l'ammissione  del  credito  che,  a suo
 giudizio, confortato da una  lunga  e  costante  giurisprudenza,  era
 invece di carattere concorsuale perche' sorto con la violazione della
 norma finanziaria e, percio', anteriormente al fallimento.
    La  curatela  fallimentare  non  si costituiva e veniva, pertanto,
 dichiarata contumace.
    La   questione  veniva  rimessa  per  la  decisione  alla  udienza
 collegiale del 7 luglio 1988.
                         MOTIVI DELLA DECISIONE
    Il  tribunale,  udito il procuratore della ricorrente e sentita la
 relazione del giudice delegato, dott. Giuseppe Gerardis,  ritiene  di
 non   poter  decidere  la  questione  prescindendo  da  una  indagine
 preliminare  sulla  legittimita'  costituzionale  delle   norme   che
 disciplinano  il  sistema  sanzionatorio  per  violazioni  alle leggi
 sull'I.V.A. nei loro rapporti con le procedure fallimentari.
    La  legge  9  ottobre 1971, n. 825, che delegava il Govverno della
 Repubblica ad emanare le disposizioni occorrenti per la  riforma  del
 sistema  tributario secondo i principi costituzionali del concorso di
 ognuno in  ragione  della  propria  capacita'  contributiva  e  della
 progressivita'  e  secondo  i principi, i criteri ed i tempi indicati
 nella stessa legge (art. 1), all'art. 10 "prevede che le disposizioni
 da  emanare in materia... di sanzioni e contenzioso saranno intese ad
 adeguare la disciplina vigente alle riforme previste  dalla  presente
 legge"  ed in particolare a stabilire (n. 11) "il perfezionamento del
 sistema delle sanzioni amministrative... e la migliore commisurazione
 di   esse   all'effettiva   entita'   oggettiva  e  soggettiva  delle
 violazioni..."  tenendosi  "adeguato   conto   dei   fenomeni   della
 recidiva".
    Il  riferimento  all'entita'  soggettiva della violazione, per una
 piu'  completa  valutazione  dell'illecito  tributario  anche   sotto
 l'aspetto  soggettivo,  ed il richiamo ai precedenti in materia dello
 stesso soggetto, ai fini di una piu'  adeguata  commisurazione  della
 sanzione  e  di  una  sua  maggiore  efficacia repressiva, pongono in
 evidente risalto il fondamento personale  della  responsabilita'  per
 illecito  tributario,  mentre  la  espressione  "perfezionamento  del
 sistema  delle  sanzioni  amministrative"  sottolinea  il   carattere
 amministrativo   del   nuovo   sistema  di  sanzioni  pecuniarie  per
 violazioni di leggi finanziarie.
    Nella  successiva riforma del sistema penale, attuata con legge 24
 novembre 1981, n. 689, i principi  fondamentali  che  governano  ogni
 responsabilita'   personale  hanno  trovato  esplicita  codificazione
 (principio della legalita', dell'imputabilita',  della  colpevolezza,
 della  responsabilita'  concorrente  e  di  quella  solidale, e della
 intrasmissibilita'  della  obbligazione  per  sanzione   pecuniaria),
 mentre,  nei  decreti attuativi della riforma tributaria, tra i quali
 il n. 633/72 sull'I.V.A., poco e' stato fatto per tradurre  in  norma
 di legge i principi medesimi ed ancor meno poteva esser fatto perche'
 nella legge delegante manca la  determinazione  dei  principi  e  dei
 criteri  direttivi per tradurre in norma di legge "il perfezionamento
 del sistema delle sanzioni amministrative" ed il coordinamento  della
 riforma  migliorativa  con la legislazione vigente ed in particolare,
 cosa che qui  interessa,  con  le  norme  di  legge  sulle  procedure
 fallimentari.
    Da tale carenza di direttive sembra sia nato l'art. 75 del decreto
 del Presidente della Repubblica n. 633/1972  che  sbrigativamente  ha
 stabilito  che  "per quanto non e' diversamente disposto dal presente
 decreto si applicano, in materia di accertamento e  di  sanzioni,  le
 norme...  della  legge  7  gennaio  1929,  n.  4..."  cosi' lasciando
 insoluto il problema e determinando alcune  distonie  tra  riforma  e
 leggi  vigenti  che  non  possono  trovare  soluzione  nell'indirizzo
 giurisprudenziale,  ormai  saldamente  costante,   della   Corte   di
 cassazione  (da  ultimo,  sent. n. 3055 del 30 marzo 1987) secondo il
 quale la  pena  pecuniaria  per  violazioni  finanziarie  costituisce
 obbligazione  civile  che  nasce,  come  tale,  fin dal momento della
 violazione della norma, e  la  sua  applicazione  altro  non  e'  che
 determinazione  quantitativa,  secondo parametri fissati dalla legge,
 di somma di danaro dovuta fin dal momento della  violazione.  Con  la
 conseguente  ammissibilita'  del  credito  al passivo delle procedure
 fallimentari in quanto sorto prima della dichiarazione di fallimento.
    Tali distonie cosi' si ritiene di individuare:
      1)  la  legge di delega della riforma tributaria, optando per la
 natura amministrativa della pena pecuniaria,  implicitamente  abilita
 gli  organi  dell'amministrazione finanziaria ad irrogare sanzioni di
 carattere amministrativo mentre  il  richiamo  alla  legge  n.  4/29,
 contenuto nell'art. 75 del decreto del Presidente della Repubblica n.
 633/1972,   consentirebbe,   secondo    l'indicata    interpretazione
 giurisprudenziale     che     identifica    il    momento    genetico
 dell'obbligazione civile per pena pecuniaria con la violazione  della
 norma,  l'applicazione,  da  parte  degli organi dell'amministrazione
 finanziaria, di una sanzione che non trova fondamento nella legge  di
 delega e che inoltre attiene alla responsabilita' patrimoniale mentre
 il legislatore delegante ha inteso riferirsi ad  una  responsabilita'
 personale;
      2)  il  curatore  fallimentare  e'  soltanto  amministratore del
 patrimonio del fallito (art. 33 della l.f.) e soltanto in tale  veste
 egli  e' legittimato a stare in giudizio, in sostituzione del fallito
 ma senza rappresentarlo, per le controversie relative a  rapporti  di
 diritto  patrimoniale  (art. 43 della l.f.), mentre le legittimazione
 alla difesa  nei  rapporti  di  natura  sanzionatoria  presuppone  la
 rappresentanza  processuale del fallito che il curatore per legge non
 possiede. Di  qui  l'impossibilita'  giuridica  per  il  curatore  di
 tutelare  e  difendere  il  patrimonio fallimentare dalle conseguenze
 dell'applicazione delle pene pecuniarie  (a  volte  devastanti,  come
 quelle  per  violazioni alle leggi sull'I.V.A., che possono giungere,
 per effetto della recidiva, fino al sestuplo del tributo evaso e  che
 sono  assistite  da privilegio generale sui mobili - art. 2752, terzo
 comma, del cod. civ. - con collocazione sussidiaria sugli immobili  -
 art.  2776,  terzo  comma,  del  cod.  civ.  -)  che  vengono cosi' a
 riversarsi nel passivo del fallimento,  in  violazione  dell'art.  24
 della Costituzione;
      3)  in  analoga  situazione  di  impossibilita'  di  difesa  del
 patrimonio di cui e' amministratore  viene  a  trovarsi  il  curatore
 fallimentare  di  fronte  all'art.  58  del  d.P.R.  n. 633/1972 (che
 consente di evitare l'applicazione  della  pena  pecuniaria  pagando,
 entro il termine di giorni trenta dall'accertamento della violazione,
 il sesto del massimo della pena) perche' l'iter ed  i  termini  della
 procedura  fallimentare,  ammesso  che  egli  sia  destinatario della
 sanzione, sono assolutamente  inconciliabili  col  breve  termine  di
 giorni trenta decorrente dall'accertamento, ed egli non puo' eseguire
 pagamenti di crediti, se concorsuali, al di  fuori  di  un  piano  di
 riparto  che  rappresenta  l'atto conclusivo di un iter procedurale a
 volte molto lungo.
    La ritenuta carenza di principi e criteri direttivi della legge di
 delega  della  riforma  tributaria   e   le   conseguenti   discrasie
 legislative  sopra individuate inducono al sospetto di illegittimita'
 costituzionale della norma di cui all'art. 10, secondo comma, n.  11,
 della  legge  9  ottobre 1971, n. 825, in relazione all'art. 76 della
 Costituzione, nella parte in cui, delegando  il  Governo  ad  emanare
 disposizioni  di  legge  in  materia  di sanzioni amministrative e di
 contenzioso al fine di "adeguare la disciplina vigente  alle  riforme
 previste"  ed  al  fine  di  perfezionare  il  sistema delle sanzioni
 amministrative, omette di indicare i principi ed i criteri  direttivi
 entro  i quali esercitare la funzione delegata (principi fondamentali
 della responsabilita' personale;  criteri  di  coordinamento  con  la
 disciplina  vigente  ed in particolare con quella fallimentare) cosi'
 determinando la soluzione  adottata  dall'art.  75  del  decreto  del
 Presidente  della  Repubblica  n.  633/1972 che impedisce al curatore
 fallimentare, secondo la costante interpretazione della legge n. 4/29
 da parte della Corte di cassazione, l'esercizio del diritto di difesa
 del patrimonio fallimentare e conferisce agli uffici  dell'I.V.A.  il
 potere di applicare una sanzione di natura diversa da quella prevista
 dalla legge di delega.
    La  questione  e'  di  palese  rilevanza  per il giudizio in corso
 dipendendo dalla sua soluzione l'ammissibilita' o meno al passivo del
 fallimento  del  credito  della  amministrazione finanziaria per pena
 pecuniaria.